CONCESSIONI AUTOSTRADALI, PER FRATELLI D

CONCESSIONI AUTOSTRADALI, PER FRATELLI D’ITALIA UNO SCANDALO CUI PORRE FINE

Il governo giallorosso litiga sulle concessioni autostradali con un estenuante braccio di ferro fra il Pd, che le vuole mantenere, e il M5S, che le vuole revocare. Quella delle concessioni autostradali è una questione che ha assunto una sua rilevanza politica e amministrativa a seguito del tragico evento del crollo del ponte Morandi a Genova del 14 agosto 2018, costato la vita a 43 persone. Ma se si sviscera con attenzione la vicenda, è possibile constatare che quella delle concessioni è sicuramente una gestione degna di un adeguato approfondimento al di là della drammaticità dei fatti di Genova e degli attuali contrasti in seno alla compagine governativa.

Per Fratelli d’Italia tutte le infrastrutture strategiche devono essere di proprietà dello Stato italiano, la gestione può essere pubblica o privata, purché sia tutelato l’interesse nazionale. Ma la questione delle concessioni autostradali, e non solo, è per il partito guidato da Giorgia Meloni un vero scandalo al quale bisogna mettere fine.

La gestione delle autostrade è un’anomalia tutta italiana, non esiste in Europa (e probabilmente nel mondo) una Nazione che di fatto regala una sua infrastruttura strategica a dei privati per far loro speculare e guadagnare miliardi senza alcun rischio d’impresa.  Le Autostrade italiane vengono costruite a partire dagli anni ‘60 dallo Stato italiano con l’IRI, che si indebita per realizzare l’opera. Per ripagare il debito si introduce il pedaggio nelle tratte autostradali, alla fine degli anni ‘90 l’IRI estingue il debito. In teoria, una volta ripagato il debito, ci si aspettava che i pedaggi venissero aboliti o drasticamente abbassati, ma invece succede che lo Stato italiano dà le autostrade in concessione ai privati. In particolare privatizza la società Autostrade per l’Italia (gruppo IRI), che gestisce da sola oltre il 60% delle autostrade italiane. A rilevare una delle società più proficue del gruppo IRI sarà la famiglia Benetton, che oggi detiene il pacchetto di controllo della holding Atlantia, proprietaria di Autostrade per l’Italia S.p.a. (Aspi).

Il contratto di concessione viene ideato nel 1997 sotto il governo Prodi (ex capo dell’IRI) e la privatizzazione si completa nel 1999 col governo D’Alema. La durata della concessione era inizialmente di 10 anni ma nel 2007, sempre con Prodi al governo, viene prorogata fino al 2038, con la formula degli oneri sugli investimenti. Nel 2008 viene votato dal governo Berlusconi un decreto che secondo molti rendeva ancora meno stringenti gli obblighi di verifiche periodiche in carico ai concessionari. Ma l’attore indiscusso delle concessioni e delle relative decennali proroghe, rimane l’ex Presidente IRI e leader della coalizione di centrosinistra Romano Prodi. Nel 2015 è ancora un Governo di sinistra, con Renzi premier e Delrio ai Trasporti, a prorogare ulteriormente la concessione ad ASPI fino al 2042 in cambio della realizzazione della Gronda di Genova. Ad oggi ancora non si sa se la Gronda si farà e se sarà Aspi a realizzarla (e pertanto se l’ulteriore proroga sarà effettiva oppure no).

Per Fratelli d’Italia le attuali concessioni vanno revocate, o i contratti dichiarati nulli. In particolare, sotto questo aspetto, FdI ha formalizzato con una mozione parlamentare il concetto di tutela dell’interesse nazionale con la formula della “clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale”, cioè le concessioni affidate a privati devono rispettare i seguenti principi: vantaggio oggettivo e certificato per lo Stato e la comunità nazionale rispetto alla gestione diretta da parte dello Stato; piena trasparenza del contratto di concessione, dei bilanci e del piano di investimenti; tutela della sicurezza nazionale, anche attraverso l’obbligo per i gestori di avere sede legale e fiscale in Italia; risoluzione unilaterale senza oneri per lo Stato in caso di gravi o reiterati inadempimenti da parte del concessionario, ivi inclusi gravi e reiterati ritardi nelle esecuzioni; obbligo, per il contraente, di reinvestire nella rete o nell’infrastruttura secondo le indicazioni dello Stato, in aggiunta agli investimenti già previsti dal contratto di concessione, anche la quota eccedente il 15 per cento dell’utile netto.

Nel caso specifico di Autostrade per l’Italia spa, la proprietà della rete autostradale è già pubblica, ma la gestione chiaramente non rispetta l’interesse nazionale. In Italia, negli anni 90, è accaduto esattamente la stessa cosa con la privatizzazione di una serie di monopoli naturali.  Il costo del canone di concessione che le aziende devono pagare – al Ministero per il 58 per cento e all’ANAS per il 42 – è fissato al 2,4 per cento dei pedaggi al netto dell’Iva.  Nonostante questi numeri i governi hanno autorizzato ogni anno aumenti medi dello 0,77%. Sulle vecchie autostrade il traffico non scende, gli addetti sono in continua diminuzione, gli investimenti promessi (in cambio degli aumenti di pedaggio) non sono invece stati realizzati. Per questi motivi gli aumenti delle tariffe, che per molti sono una vera e propria imposta sulla mobilità, sono ancor più ingiustificati.

Per questo da molto tempo Fratelli d’Italia sostiene che tutte le concessioni di questo genere debbano essere revocate, non solo quella di Autostrade spa, e vadano fatte nuove gare pubbliche con contratti seri, nel rispetto della legge e dell’interesse nazionale. Nuove gare pubbliche alle quali se vuole potrà partecipare anche Atlantia e che se sarà più brava degli altri potrà anche aggiudicarsi.

 

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